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CENNI CRITICI

“Subito dopo il 1960, negli Stati Uniti come in vari paesi europei, per reazione alla lunga egemonia dell'espressionismo astratto, una serie di artisti diedero vita ad una nuova corrente: l'iperrealismo. Una delle caratteristiche fondamentali di questo movimento – esauritosi nei suoi aspetti più vistosi e innovativi attorno al 1974 – fu quella di proporre la rappresentazione del reale con un esasperato illusionismo ottico (trompe l'oeil). Ma l'iperrealismo, quello americano più che quello europeo, aveva come postulato di base il rifarsi al tentativo di confondere l'opera con il reale, come nel celebre caso de "La signora che prende appunti” di Duane Hunson esposta a Copenaghen, così da mettere in crisi anche occhi molto esperti incapaci, alla prova, di distinguere di primo acchito se essere davanti a una vera donna o una statua. Ma anche caratteristica fondamentale dell'iperrealismo fu il suo voluto confondersi con la fotografia come massimo possibile equivoco di rappresentazione (Goins: Sacramento Airport, 1970 – Les Saints Maries de la mer, 1971). Se appare incontestabile la discendenza dell'iperrealismo statunitense dalla pop-art, per quello europeo il discorso si fa estremamente più composito tanto che converrà forse di più rifarsi, terminologicamente, al termine “realismo” tout court. E la lunga strada del realismo nell'arte europea è lunga davvero e passa per una infinità di sfumature e di contaminazioni: dal Quattrocento toscano e fiammingo, all'Ottocento francese, a Segantini, a Sciltian, al neorealismo del dopoguerra.
Livio Možina tutte queste cose ha evidentemente conosciuto e assimilato fin dai suoi esordi nel 1971, tutte queste direzioni ha percorso sul piano della cultura nel mettere a punto, nel severo rigore dell'autodidatta, una tecnica di raffinatissima precisione rappresentativa e pur non aderendo mai a questa o quella corrente pittorica nata sul grande filone del realismo, ha accolto nel suo bagaglio gli stimoli per una rappresentazione del reale il più possibile vicina alla naturale percezione dell'occhio. Equivoco sarebbe perciò etichettare Možina nell'ambito dell'iperrealismo come sarebbe altrettanto equivoco il volerlo classificare come epigono di un realismo accademico o come esasperante cultore di un minuzioso obiettivismo deciso a stupire ad ogni costo.
Livio Možina, nel suo far pittura, nella ricerca una propria fisionomia culturale, ha mediato in sé anche altri e non secondari fermenti e stimoli. Quelli, ad esempio, che li vengono dall'essere operante a Trieste, città ricca di memorie realistiche tedesche e austriache (Leibl, Liebermann) e ricca dell'apporto del realismo magico del mondo slavo che non poco ha arricchito certe vene caratteristiche della cultura della città adriatica. E così pure la persistente memoria del romanticismo che in queste terre trovò forti consensi sino alle soglie del Novecento per rinnovarsi nell'adesione festosa al Secession ancora ben vivo dopo la scomparsa della influenza viennese e monacense in città.
Queste cose ci sono nella pittura di Možina, si respirano appieno, balzano evidenti ad una lettura dei sui quadri che non sia superficialità. E poco importa che l'artista abbia realizzato in sé questo quadro a livello cosciente o istintuale: non ci si può esimere dal respirare l'aria che circola attorno a noi.
E ancor più si evidenziano se andiamo a vedere i due principali filoni d'espressione di Možina: le composizioni di oggetti, ma anche di fiori e frutti, e i paesaggi.
Sul primo versante l'artista si muove con una precisione assoluta, minuziosamente attenta al particolare più insignificante, fin nella realizzazione delle finte tavole di supporto, nella copia della cartolina ricordo, del quadretto souvenir di maniera, del fumetto per ragazzi (ed è qui vivissima l'influenza dell'iperrealismo) nel desiderio ironico e deliziato sì di stupire ma anche di restituire alla vita gli oggetti, di penetrare con i mezzi dell'illusione rappresentativa oltre i limiti della tela per giungere ad una speciale metafisicità che agisce sul nostro inconscio.
Sull'altro versante – i paesaggi – Možina, nell'avvalersi del suo magistero tecnico si piega a raccogliere memorie romantiche, non scaturite a livello intellettuale, e pur senza intervenire modificando la logica della realtà, acquisita per le sue opere un'aria particolare, vibrante di luci che il nostro occhio è ormai disabituato a cogliere.
Livio Možina oggi si pone all'attenzione del pubblico e della critica come artista svincolato da preoccupazioni di schieramento: il suo dipingere si qualifica come gioia di fare, come ricerca di identità risolta attraverso i termini di un conoscibile immediato che riporti sicurezza e armonia, equilibrio, in un modo – non solo quello dell'arte – bombardato da infinite e contraddittorie proposte.”

Claudio H. Martelli


“La singolare vicenda di questo giovane e isolato pittore potrebbe essere l'esempio emblematico della formazione d'un autodidatta, nel senso più nobile della parola. Oggi, con la diffusione della cultura attraverso i mass-media, l'autodidatta non è colui al quale fa difetto una regolare istruzione, ma chi ne rifiuta le conclusioni e difende la propria individualità con un atteggiamento perfezionista nella tecnica esecutiva... che è tramite d'una comunicazione diretta col pubblico, scavalcati... i problemi delle mode; Možina non rifiuta la lezione altrui, ma sceglie quella che gli aggrada: mettiamo Sciltian o Stracca. Impadronitosi del vocabolario e della sintassi pittorica, egli aggiusta il tiro. Mira lontano, poiché, malgrado le apparenze, è un orgoglioso come tutti i solitari”

(Il Piccolo)


“Non è difficile comprendere come l'ideale di Možina sia la rappresentazione della bellezza. L'evidente commozione che suscitano le umili cose che riproduce, una scarpa rotta ad esempio, o un vaso di gerani, un barattolo arrugginito, una sedia o un mandolino, ci avvicina all'uomo-pittore, alle sue sensazioni che possono derivare da diversi colori armonicamente fusi o da un'ombra che si allontana, ritorna, accarezza una superficie liscia, assume le dimensioni della tela. Sono tutti elementi pittorici subordinati alla sua volontà, un colloquio con lo spazio che lo circonda e che fanno convergere, con la forza della suggestione, lo sguardo dello spettatore.
Solido nel disegno e classico nell'impostazione, ritrovo nei suoi dipinti, contro il parere di molti, una componente metafisica e surreale passata al filtro di un romanticismo quasi crepuscolare trasformante la realtà in un panorama di favola.”

(Antonio Oberti, Il Narciso, sett. 1975)


“In un'aura di calibrato romanticismo, luminosità, brillantezza, minuzia sono i dettami ai quali docilmente obbedisce la creatività di Livio Možina.
In un razionale e centellinato percorso à rébours, immagini d'altri tempi, chiuse in libri di fiabe o riposte nel fondo del nostro universo emotivo, vengono rievocate e restituite nelle loro tinte più chiare e rappacificanti rubate alle ambientazioni paesistiche colte nel variegato avvicendamento stagionale.
Ne consegue un accostamento di momenti magici classicamente impostati, ove i giochi maliziosi di bambini dal superbo incarnato, i segreti delle cince nascoste fra le foglie, le storie di un gruppo di oche allarmate dal temporale imminente o di pazienti pecore condotte al pascolo sotto cieli surreali, il cipiglio ostinato di mansueti asinelli, e gli enigmi ironici di gatti e conigli si innestano nel sistema naturale col quale gli esseri animati instaurano un dialogato senza soluzione di continuità.
Le descrizioni della quotidianità campestre, ingiuriosamente accantonata dall'ossessionante e sovrastante caos moderno, si svolgono in un'armonia di fondo, ininterrottamente intessuta dalle trasparenze luministiche dei corsi d'acqua, dal cromatismo pacato del cielo, dal morbido manto nevoso che si stende sulla vegetazione addormentata eppure non immiserita dai rigori dell'inverno.
La ricerca artistica infatti rifugge programmaticamente gli scabrosi elementi di disturbo, orientandosi verso un'evasione in climi di sereno equilibrio.
E nel fluire ciclico del tempo ricreato scegliendo quanto vi è “di grazioso, di semplice, di bello, di utile” e “cancellando tutte le sbarre” che bloccano il libero fantasticare, è facile immaginare che le cince cantino fra “il verde fogliame e la frescura del vento, il pulviscolo del sole e il fruscio delle bestie e dell'erba nella calura estiva”.
In questa sintonia di elementi, Možina rende un omaggio garbato ai musicisti e ai poeti che sostengono la sua ispirazione e la sua ricerca di quiete bucolica.
A tali spinte a ripercorrere sulla tela le ambientazioni così identificate corrisponde una resa nitida, nella quale i particolari vengono trattati con perizia da miniaturista e la visione di insieme travalica il limite tra sogno e realtà, secondo quanto avviene, per certi versi, nell'iperrealismo.”

Elisabetta Luca